venerdì 7 ottobre 2011

Federico Borromeo, Paralella cosmographica de sede et apparitionibus Daemonum

Collegamenti ad alcuni siti telematici con riferimento all'opera in oggetto:

bulzoni.it



SUNTO
La materia demonologica del presente libro di Federico Borromeo è offerta dalla percezione fisica di fenomeni strani, quasi in un misterioso universo di «incontri ravvicinati», veri o presunti, degli umani col demonio. Per tal motivo il libro è in gran parte accostabile al genere narrativo. Gli incontri sensibili tra umani e dèmoni sono datati dalle più remote età; ma uno sterminato repertorio lo offriva proprio il mondo moderno, nelle campagne dell’Europa e soprattutto nelle Indie sia ad Ovest che ad Est, terre tanto lontane quanto misteriose. Sono rievocati resoconti, mirabolanti o raccapriccianti, di naviganti e viaggiatori avventuratisi nell’estremo nord e nell’estremo oriente del pianeta, nei deserti roventi e allucinanti, nelle infide acque oceaniche; e sono riferite dicerie che circolavano su figure orrende intraviste tra il magma infuocato dei vulcani o su voci gementi tra i ghiacci eterni delle terre fredde, visto che le preferenze dei demoni sono decisamente – così sostiene l’Autore – per tutte le cose “esagerate”.


FRANCESCO DI CIACCIA
INTRODUZIONE
L’argomento del libro

Il presente scritto di Federico Borromeo è diverso da altre sue opere demonologiche.
Il demonio, qui, non è visto, principalmente e formalmente, in quanto angelo decaduto o in quanto tentatore. In altre prospettive demonologiche, come nel De cognitionibus quas babent Dæmones, la problematica delle dotazioni originarie e delle successive inibizioni intellettive coinvolge, già da sola, elucubrazioni speculative sottilissime e richiama disquisizioni dottrinali molto complicate. Più appassionante ma più delicato ancora è il tema demonologico, ad esempio, nel De ecstaticis mulieribus, et illusis, in cui il demonio è colui che, seducente e serpentino, s’introduce nella mente visionaria di uomini e di donne. In Paralella cosmographica de sede et apparitionibus Dæmonum il demonio sembra, invece, l’attore che, camaleontico, si veste dei quattro elementi fondamentali del mondo fisico e, in tal sembiante, si fa vedere e si fa udire; o quantomeno si ritiene che in tale foggia si trasformi e appaia.
Il presente scritto si caratterizza, dunque, per un contenuto ed uno stile che potrebbero rientrare, per una parte di esso e in una certa qual misura, nel genere narrativo piuttosto che in quello saggistico, vuoi di teologia dogmatica, vuoi di teologia mistica. Di fatto, la sua più immediata peculiarità è che il materiale della fenomenologia diabolica non deriva dalla teologia, dalla Bibbia, dall’esperienza morale o mistica; proviene dalla percezione sensoriale, dall’esperienza fisica. Nel libro si parla di fenomeni del mondo fisico intorno a un misterioso universo di «incontri ravvicinati», veri o presunti, degli umani col demonio. L’approccio sensibile, dalle molte forme, tra umani e dèmoni è datato dalle più remote età ed è testimoniato dal mondo classico; ma uno sterminato repertorio lo offriva, ai tempi proprio dell’Autore, il mondo moderno, sia nelle zone rurali della cristiana Europa, sia nell’area colta dell’Africa musulmana; e soprattutto lo imbandivano con dovizia di curiosità esotiche i Paesi tanto lontani quanto ricchi di eventi mai visti e mai sentiti. Sono perciò rievocati resoconti, mirabolanti o raccapriccianti, di naviganti e viaggiatori avventuratisi nell’estremo nord e nell’estremo oriente del pianeta, nei deserti roventi e allucinanti che annebbiano la vista e smorzano il respiro, nelle infide acque dalle tempeste apocalittiche; e sono riferite dicerie che, magari ingigantite, tornavano a circolare, come da tempo immemorabile, su figure orrende intraviste tra il magma infuocato dei vulcani o su voci gementi tra i ghiacci eterni delle terre fredde, visto che - ed è il giudizio dello speculatore - le preferenze dei demoni sono decisamente per tutte le cose “esagerate”.
Da tale contenuto discende la seconda caratteristica, almeno in varie pagine del libro: la scrittura narrativa. Federico Borromeo ama raccontare; e lo stile del suo narrare è piacevole.
Il risvolto rilevante, legato alla prima peculiarità sopra indicata, è l’attenzione riservata alle scienze naturali.
L’interesse di Federico Borromeo per le scienze naturali è stato già messo in luce; ed è il caso di notare come lo studio delle «metereologiche questioni», condotto su Aristotele in un’altra opera, il Salomon (FERRO, 34), trovi conferma in Paralella cosmographica a proposito di presenze animali nei nevai, anche qui con citazione della Historia animalium: «Risulta poi che nelle zone settentrionali si ritrovino vermicelli proprio nella neve [...]. Perché non si pensi che sia una panzana, anche Aristotele dice che anche nelle nevi si trovano certe bestioline» (cap. XIII). È ovvio che in Paralella cosmographica si faccia riferimento a scritti naturalistici di Aristotele; ma rilevante è che sia messa in discussione, o almeno sotto esame, una notizia di Aristotele su un dato fattuale: «Aristotele accenna a una fornace nell’isola di Cipro al cui fuoco si liquefacevano i metalli, e dice che tra le fiamme furono viste bestioline saltellare e volteggiare. In questa storia saremmo di certo convinti dall’autorità del filosofo, se in un altro passo [in De longitudine et breuitate vitæ] egli non sostenesse che nessun animale ha origine dal fuoco e che il calore grazie al quale gli animali hanno vigore non è fuoco né discende dal fuoco; e altrove dice anche che il fuoco non può assolutamente putrefarsi» (cap. XI).
Più in generale, va detto che esattamente l’impostazione fenomenologico-fattuale del discorso e il ricorso agli apporti delle scienze sperimentali tutelano l’Autore, in linea generale, dal rischio di atteggiamenti aprioristici e acritici circa i fenomeni prodigiosi e i loro racconti. Fondamentalmente egli è guardingo per motivazioni di ordine psicologico e di costume: fantastica è l’immaginazione umana; e grandiosa è l’enfatizzazione delle notizie che passano di bocca in bocca e di luogo in luogo. Soprattutto, è facile che vengano intesi come prodotto di entità angeliche i fenomeni dell’universo fisico che risultino strani in base alle attuali conoscenze. La seguente osservazione sintetizza alcuni aspetti della dinamica “miracolistica”: «Infatti, anche solo a vedere un pozzo che sprofonda vertiginosamente, subito si crede che sia opera dei demoni [...]. Non appena questa falsa credenza conquista gli animi, poi aumenta sempre, e così si raccontano come veri avvenimenti falsi» (cap. XII). Bisogna dunque essere cauti, nell’ammettere sia la veridicità dei racconti, sia la realtà dei fatti straordinari. Il criterio vale a partire dalle notizie consacrate dalla tradizione e dalla letteratura antica - «Ma quegli spettri che l’antichità credette Dei marini e che noi diremmo demoni, a volte non erano che bestie e mostri del mare. Ne tratta a lungo Plinio nel libro nono» (cap. XII) -, fino ai resoconti confermati dalla fama comune e da persone serie conosciute di persona: «Ma ho intenzione di narrare un altro episodio, e una volta narrato ci chiederemo se sia potuto esser vero un fenomeno cui ormai l’opinione comune dà credito. Lo tramandano non solo la credenza popolare ma anche la testimonianza di uomini seri con cui abbiamo parlato» (cap. XII). Del resto, non è facile stabilire la verità sull’origine dei fenomeni. Ad esempio: «Olao Magno riferisce che i fiumi molto profondi, al Settentrione, abbondano di demoni, e altri scrittori raccontano che nelle selve della Norlandia e della Norvegia gli stagni gelati risuonano di varie voci, che si ritiene essere dei demoni. Ma non sarà facile stabilire se siano realmente dei demoni o siano generate dal ghiaccio, poiché, come riferisce lui stesso, cioè Olao Magno, da lì si sentivano provenire anche fragori naturali» (cap. X). Frequente è l’indicazione del seguente tenore: «Ma sui luoghi cavernosi, se si raccontano per lo più cose inventate, sono state dette tuttavia alcune cose vere» (cap. VIII)[1].
Importante chiave di lettura dei fenomeni fisici e naturali è dunque, in questo contesto, il dettame scientifico; e il richiamo a Plinio, come nella questione sopra citata, è rivelatore del peso assegnato alle ipotesi scientifiche. Persino la medicina è compulsata per la congettura dell’origine di certune manifestazioni paragonabili alla possessione diabolica: «Gran parte dei casi che potrebbero ricondursi all’intervento demoniaco sono infatti rapportabili anche a malattie fisiche. La prova è in queste parole di Ippocrate: esistono morbi di tal genere, “per cui [i malati] ritengono di vedere i demoni che h assalgono, a volte di notte, a volte di giorno”» (cap. XX). L’Autore può procedere con equilibrio e spirito critico, proprio poggiandosi sulle conoscenze naturalistiche cui sono pervenuti gli studiosi. Ad esempio afferma: «Ma è fin troppo chiara la causa naturale che determina quelle fiamme [vulcaniche], per pensare che dimorino in quelle sedi proprio i demoni» (cap. XI). E: «Ma le anomali piogge per cui piovono sostanze ferrose, lapilli e lana si è potuto attribuirle a cause naturali piuttosto che ai demoni, e altrettanto le pestilenze e le contaminazioni dell’aria infetta, che tuttavia possono provenire anche dal demonio. In questo campo l’antichità fu notevolmente superstiziosa [...]» (cap. XIII).
Le indicazioni qui offerte non inducano, tuttavia, a configurare un Federico Borromeo estraneo alla radicale e profonda convinzione, molto diffusa all’epoca, della puntuale e insistente incombenza del demonio sulla terra e tra gli umani. Esse valgono a distinguere, entro la problematica demoniaca, tra impellenza del demonio nell’animo e nel cuore umani e visibilità satanica in qualche modo materiale nel mondo fisico. Nel primo caso, il procedimento di indagine è deduttivo, con ragionamenti che si configurano, facilmente, apodittici, fondati su principi ritenuti incontrovertibili; nel secondo caso è induttivo: da cui la tendenza investigativo-narrativa, fondata sull’accertamento dei fatti concreti. Ma le indicazioni qui offerte valgono, anche, a mettere in risalto l’attitudine globale di Federico Borromeo circa la questione del demonio - cui il libro, comunque, inevitabilmente si collega, dato che la “professione” del demonio non è quella dell’attore di teatro o del clwon circense, ma, in ogni caso, è quella del “tentatore” -, così sintetizzata già da Franco Buzzi: «In un secolo dominato da una specie di febbre satanica o di effervescenza diabolica, che arrivava a vedere abbondantemente nei fatti più diversi e reciprocamente estranei la presenza malefica del diavolo, l’approccio al fenomeno da parte del cardinal Federico Borromeo è indubbiamente espressione di una mente aperta e curiosa [...]. Federico, come sempre, mira a sfatare la mentalità popolare, facilmente succube di credenze superstiziose che a quel tempo erano largamente diffuse, propalate anche dai tentativi di un incipiente sapere naturabstico [...]» (BUZZI, 7). Il sapere naturalistico non interviene, in Federico Borromeo, ad allargare i confini dell’intrusione demoniaca, almeno in generale; interviene, per contro, a mettere al vaglio le credenze enfatizzate all’inverosimile.
(Dalla Introduzione: paragrafo 1 della Introduzione)


[1] Non sono assenti, tuttavia, posizioni categoriche, avanzate in base ad accertamenti ritenuti insospettabili: «Spettri e visioni che accadono nelle miniere non sono in alcun modo attribuibili ad elementi e cause naturali, cioè al fuoco, ai venti, ai vapori, e alle esalazioni e alla densità dell’aria, alla caligine, all’oscurità o ad altri fattori del genere. La cosa è stata infatti comprovata dalla testimonianza di un gran numero di persone, e molti sono rimasti sbalorditi a vedere e a sentire tali fenomeni e molteplici figure che ora erompevano come un turbine, ora ardevano con lo splendore di una fiamma, ora riproducevano l’oscurità del fumo, ora della tenebra, e a volte ciò si percepiva senz’alcun corpo» (cap. IX). Oppure: «Infatti in quelle regioni le bufere e i venti si sviluppano per opera dei demoni, e soprattutto in Brasile, come narra Oviedo [...]. Ma sorprendente è che vengano stipulati patti e ai patti segua l’evento: ciò che accade molto spesso» (cap. XII).


             RECENSIONI

Ginevra Crosignani, California Institute of Technology, Pasadena, in «Archivum Historicum Societatis Jesu», Romae, Institutum Historicum Societatis Jesu, vol. 77, a. 2008, pp. 218-222.

La versione latina dell’opera del cardinale Federico Borromeo, Paralella Cosmographica de Sede et Apparitionibus Daemonum Liber Unus, fu data alle stampe nel 1624. Il testo volgare, la cui redazione precede lo stampato ma possiede il medesimo titolo latino, è rimasto fino ad oggi manoscritto (p. 16).
Il pregio del lavoro di Francesco di Ciaccia consiste nella edizione critica dell’opera volgare del cardinale, accompagnata dallo stampato latino e relativa traduzione italiana. In appendice al testo è un “Indice e siglario Bibliografico” il quale, oltre a contenere i riferimenti bibliografici essenziali, contribuisce ad identificare autori ed opere citate dal Borromeo non sempre familiari al lettore contemporaneo.
La traduzione dallo stampato latino - Analogie cosmografiche sulla sede e sulle apparizioni dei demoni. In un Libro - è corredata di un apparato critico che evidenzia le discrepanze del testo latino rispetto al manoscritto volgare, ma fornisce anche informazioni di natura bio-bibliografica di notevole valore ed utilità (data la, sia pure occasionale, difficoltà di identificare gli autori postillati dal Borromeo, pp. 24-26). Come espressamente dichiarato dall’autore, lo scopo di tale traduzione è quello di offrire un documento quanto più possibile “fedele al testo latino, sia sul piano sintattico che letterale, senza essere, tuttavia, strettamente filologico”, ponendosi a metà strada tra la “conformità scientifica al testo latino e la fruibilità divulgativa” (p. 25).
Il confronto tra lo stampato ed il manoscritto volgare consente all’autore di sostenere come il secondo sia stato redatto “nel momento dell’ideazione originaria, più spontanea ed immediata, prima di essere riformulato per la stampa, cioè modificato in vista di un pubblico più vasto” (p. 18). La Biblioteca Ambrosiana conserva pure degli appunti di natura essenzialmente contenutistica, redatti in volgare, preparatori a Paralella Cosmographica. Essi constano di un blocchetto di nove foglietti, quasi certamente di mano federiciana, sulla cui “copertina” è indicata la data “1615” ed il cui ordine di successione è indipendente da quello dello sviluppo dell’opera (pp. 18-19). Lo studio di tali appunti risulta importante non solo perché alcuni di essi vennero utilizzati per la stesura di altri testi come il De cognitionibus quas habent Daemones (coevo di Paralella Cosmographica) e il De Ecstaticis Mulieribus, et illusis (1616), ma anche perché essi forniscono importanti indicazioni circa le letture praticate dal Borromeo. Interessante è, per esempio, la menzione negli appunti del Fernelius, o Jean Fernel (1497-1558), detto il “Galene moderno”, il che testimonia l’attenzione del cardinale nei confronti della scienza medica (p. 25).
Noti sono gli scritti demonologici del cardinale Borromeo ed il suo interesse per le scienze naturali. Ciò che differenzia Paralella Cosmographica dalle altre opere di argomento analogo è l’impostazione di carattere fenomenologico – medico e naturalistico piuttosto che teologico. Certamente il demonio esiste, spesso assumendo forme fisiche, ma il cardinale è estraneo alla credenza che l’inspiegabile generante terrore sia effettivamente espressione di presenze demoniache: egli mira piuttosto a “sfatare la mentalità popolare, facilmente succube di credenze superstiziose che a quel tempo erano largamente diffuse” (Franco Buzzi, Prefazione a Federico Borromeo, Manifestazioni Demoniache, cit., p. 7 [p. 15]). Non c’è dubbio che nell’analizzare le varie opinioni circa l’apparizione ed il comportamento delle creature demoniache ed i luoghi della terra che esse (presumibilmente e stabilmente) abitano, il Borromeo si avvalga di quello che oggi definiremmo il “metodo scientifico”. In altre parole egli descrive il fenomeno, si appella poi a varie opinioni autorevoli dalle Sacre Scritture agli autori ecclesiastici, dagli eminenti storici dell’antichità (Erodoto o Plinio) ai viaggiatori di professione (Marco Polo o Pigafetta), dai filosofi (Platone e, naturalmente, Aristotele) ai testimoni oculari (purché il loro numero sia abbastanza elevato da non lasciare spazio all’inganno) ed il tutto pondera alla luce della ragione. Questo inteso non in senso illuministico ante litteram (la ragione umana basta a spiegare ogni fenomeno), ma come ciò che è ragionevole, ovvero pertinente a quel processo logico che è proprio della mente umana quando essa esamina la realtà fenomenologica (o descritta come tale). Le conoscenze mediche e naturalistiche servono, infatti, a demolire l’inverosimile o porlo in serio dubbio. Nei ventuno capitoli che costituiscono l’opera del Borromeo, egli descrive quali popoli dell’orbe sono noti avere maggior inclinazione per la superstizione: gli Etruschi e i Greci in primo luogo, che la trasmisero ai Romani; “l’Europa è stata più superstitiosa dell’Asia (…) Et l’Asia più dell’Africa”. Gli Ebrei non sono superstiziosi mentre lo sono i Cinesi, i Barmi ed i Lapponi (pp. 38-39). All’interno di queste macrocategorie geografico-razziali “dediti alle superstizioni sono soprattutto gli abitanti delle montagne e delle campagne e coloro che conducono una vita lontana dalla società” probabilmente perché “chi abita luoghi solitari e remoti si preoccupa dei propri numerosi problemi e non di quelli altrui; ha tempo per riflettere su tutto e di rado ne è impedito e distolto” (da stampato latino, p. 158). Ridicole sono, tuttavia, le opinioni che attribuiscono a maghi e streghe la facoltà di compiere azioni demoniache (in nome del Demonio o come se essi stessi fossero demoni): “Tutti questi detti insieme accozzati, e considerati, pare che riabbiano odore, e indicio non piccolo di superbia, ma occultissima. È maggiormente confermasi, perche nell’Asia, nell’Africa, nell’Europa, e nel Mondo nuovo quanti maghi, e quante maghe si deono ritrovare? Et che hora questi siano i primogeniti, et primogenite del Diavolo, è cosa dura da crederlo. Et sarebbe per loro, oltre a ciò, gran gloria se essi potessero in questo tempo ingannare una gran parte degl’huomini scientiati, e dei maggiori e dei più stimati della Chiesa” (pp. 42-43). Le ore notturne favoriscono poi le alterazioni delle sensazioni visive: “La notte adunque è quella che cuopre i difetti, et gl’inganni, et è madre della bugia, e delle cose solo apparenti (...)” (p. 44). I luoghi solitari e fetidi sembra incoraggino le presenze demoniache: le loro apparizioni sono più frequenti “nei deserti dell’Asia e dell’Africa e nei paesi meridionali sono più frequenti (...)” (p. 53). Non con minor bramosia i demoni cercano “i luoghi immondi”, perciò “dimorano più spesso nelle Cloache, e nelle profonde voragini di fetide acque (...) et però le caverne, i pozzi, i sepolcri spesse volte da loro sono frequentati” (p. 54). Il cardinale ritiene che sui “luoghi cavernosi” siano state dette cose “false”, ma gli appare possibile quanto raccontato da Marcin Cromer (1512-1589), vescovo di Varmia e storico della Polonia, secondo il quale da certe aperture del suolo sarebbero state udite voci di animali (cani, galli ed altri). Non v’è dubbio, tuttavia, che “vedendosi di simiglanti cose subito gl’uomini son troppo facili, et indotti concepiscono nella forte immaginatione alcuna cosa di più, e pare loro di vedere, e di sentire le maraviglie; et l’uno all’altro si appoggia, si come si dicono che fanno i cervi nel passare dei fiumi, sostenendo ciascuno di loro il capo di chi lo segue. Overo, queste voci, queste fame, et opinioni, si generano, come l’ecco, che altro non è, che il rimbombo d’una sola voce che in più bande percuote” (p. 55). Per quanto riguarda le apparizioni di spettri nelle miniere, il cardinale appare possibilista: “è come impossibile cosa il poterle assegnare a cagione naturale (...)”. La cosa è infatti comprovata dalla testimonianza di un gran numero di persone” (p. 55). Olao Magno (Olav Manson, 1490-1557) riferisce, infatti, che il maggior numero di demoni appare dove le cave sono più ricche, tanto che si è costretti ad abbandonarle; mentre Giorgio Agricola (Georg Pawer, o Bauer, 1494-1555) dice che la crudeltà dei demoni è così grande che essi uccidono gli uomini nelle cave e non si riesce a cacciarli neppure con orazioni e digiuni (p. 56). I demoni sarebbero inoltre cupidi di oro e argento ma anche di varie erbe e radici; ma sul loro desiderio di metalli preziosi il Borromeo nutre seri dubbi, giacché vi sono nel mondo altre gemme e diamanti assai più preziosi, ma di essi i demoni pare non hanno alcuna bramosia (pp. 56-57).
Per loro natura gli spiriti immondi preferiscono condizioni climatiche estreme, cioè luoghi caldissimi o freddissimi e meno frequentemente appaiono nell’acqua di quanto facciano sulla terra. Storici e naturalisti avrebbero raccontato di demoni che durante la tempesta tentarono di provocare l’affondamento delle navi, ma come le invocazioni alla Vergine Maria avessero salvato tutto l’equipaggio. Il cardinale cita inoltre la testimonianza personale di uomini seri (“gravi persone”) con cui egli stesso avrebbe parlato: Bartolomé Carreno (che scopri le Bermuda nel 1538) riferisce che una tempesta a largo di queste isole sospinse la sua nave nel porto di Lisbona nell’arco di una notte. Secondo il Borromeo “in questo caso, i testimoni degni di fede (...) combattono, e contrastano con la ragione, e con l’esperienza” per il fatto che se la distanza fosse stata effettivamente percorsa in così breve tempo l’imbarcazione si sarebbe sfasciata ed i naviganti tutti annegati. I demoni hanno certo la facoltà di “condensare l’aria” ma il cardinale ha gran sospetto che il racconto sia stato inventato. Dato che erano ben pochi i testimoni del fatto, per loro è stato facile accordarsi sulle cose da dire, visto che nessuno poteva confutarli. “Et si come fu detto quel proverbio, che ogn’uno fuori di casa sua può dire quello che vuole della sua propria casa, poiché non v’è testimonio in contrario (...). Et entrata poi che è simile opinione negl’animi, sempre le cose si accrescono, e si magnificano, e giamai non pare ad alcuno di dir bugia (...) ma solamente di manifestare la pure, e semplice verità” (pp. 64-65).
L’emisfero settentrionale del mondo ha cattiva fama per la presenza di spiriti maligni come sostengono vigorosamente “i Cabalisti, et i Talmudisti” (p. 69) ma il Meridione non è da meno: laddove i popoli settentrionali sono di corporatura più robusta, i meridionali sono di mente più fine e dedita alla contemplazione. Proprio il meridione ha infatti generato le arti e le scienze più alte, come la geometria, l’astronomia, la cosmografia e l’aritmetica anche se il bell’ingegno può spesso esser fonte di superstizione. Tuttavia, la maggiore religiosità dei popoli meridionali, contrariamente ai settentrionali ove sono maggiori incantatori e maghi, fa sì che in questo luogo della terra non abbondino gli spettri ed i fantasmi (da stampato latino, p. 191).
Gli ultimi due capitoli, il XX ed il XXI, sono dedicati alla possessione demoniaca (“gli energumeni”) ed alla brutta forma fisica dei demoni (“dei brutti aspetti diabolici”). Alcuni uomini sono realmente posseduti dal demonio, come assodato dagli esorcismi che sono ogni giorno praticati e dall’antichità del rituale, ma nella gran parte dei casi tali fenomeni sono da ricondursi a malattie fisiche, come già testimoniato da Ippocrate (p. 86). Gli eretici sostengono che la loro religione riformata abbia drasticamente ridotto il numero di demoni nelle loro regioni settentrionali, ma si può facilmente controbattere che tra i pagani il numero degli ossessi era inferiore che tra i cristiani. Gli stessi turchi sono meno infestati dai demoni dei cristiani: dunque la loro religione è più santa di quella cristiana? (p. 89).
Circa la forma fisica del demonio, le più antiche testimonianze gli attribuiscono un aspetto disgustoso: esso fece infatti irruzione nel mondo sotto forma di rettile, ma anche le altre forme sono tutte brutte e sgradevoli. In qualche luogo appaiono come omiciattoli pelosi ed irsuti, ma sembra che la più spaventevole immagine del demonio sia una statua con cui esso viene rappresentato in Cina e similmente nel regno di Calicut, con le corna, unghie da rapace e faccia da mostro. Tutto ciò perché essi desiderano prima incutere ammirazione ma poi terrore più che amore.
Gli ultimi due capitoli faranno forse sorridere il lettore, ma tenuto conto che l’opera del cardinal Borromeo fu scritta in un’epoca tradizionalmente definita superstiziosa e che la scienza moderna era ai suoi albori le opere galileiane “Sidereus Nuncius” e “Saggiatore” furono pubblicate ripettivamente nel 1610 e 1623 (solo di un anno precedente Paralella Cosmographica) l’equilibrio e la saggezza dei giudizi espressi sono sorprendenti. In materia di demonologia, parte integrante del patrimonio teologico di giudaismo, cristianesimo ed induismo, il bilancio dell’opera è decisamente a favore della razionalità e della moderazione: degni sentimenti di un ecclesiastico che fu il creatore della prima biblioteca pubblica europea, l’Ambrosiana, dopo la Bodleian Library di Oxford.
California Institute of Technology, Pasadena             Ginevra Crosignani.


Giorgio Dell’Oro, in «Società e storia», Franco Angeli, 2008, n.° 119, pp. 180-181.

Federico Borromeo si occupò di demonologia in varie opere, tuttavia quella qui presentata si differenzia in modo consistente dalle altre.
Nei suoi scritti De cognitionibus quas habent Daemones e De ecstaticis mulieribus, et illusis, l’approccio è chiaramente legato a problematiche dottrinali e teologiche, che in buona parte si prestavano a speculazioni intellettualistiche poco accessibili anche al clero minore. Nel presente scritto l’autore cercò invece di approfondire l’indagine sulla presenza del demonio nell’ambiente fisico e di conseguenza anche lo stile risulta essere più narrativo e meno barocco rispetto agli altri suoi testi.
Attraverso questa ricerca il Borromeo cercò di illustrare, nel pieno rispetto della tradizione aristotelica e galenica, quali fossero le possibili esperienze sensoriali che l’uomo poteva avere quotidianamente della presenza del maligno. Dagli appunti preparatori emerge che il prelato si sforzò di estendere le osservazioni ben oltre gli angusti orizzonti italiani e a tal fine egli fece ricorso alle opere dell’età classica, a quelle di autori medievali e coevi, e, addirittura, alle relazioni dei viaggiatori e dei missionari, specie gesuiti, in modo da fornire al lettore la conferma della presenza di demoni in tutte le terre e culture conosciute.
Nel corso della trattazione scaturisce l’interesse del prelato per la scienza, pur entro i limiti dei dogmi imposti da Roma. Di conseguenza anche l’approccio scientifico viene piegato ai propri fini e utilizzato per discernere i racconti dovuti all’ingenuità e alla superstizione degli uomini, dai fatti effettivamente riconducibili alla presenza di demoni e a una realtà ultraterrena. Anche in questo caso però egli si muove nel rispetto delle tradizioni classiche (Aristotele, Plinio) e dottrinali del tempo e pertanto lo scritto risulta indissolubilmente legato alla «radicale e profonda convinzione, molto diffusa all’epoca, della puntuale e insistente incombenza del demonio sulla terra e tra gli umani (p. 14)».
Il testo fu redatto sia in latino che in volgare, ma solo la prima versione venne data alle stampe nel 1624. Il manoscritto di questa edizione è andato smarrito; tuttavia, secondo il curatore è da ritenersi quasi certo che per la prima stesura il prelato utilizzò la lingua corrente, anche perché essa era il risultato di una raccolta disordinata di appunti iniziata intorno al 1615. L’analisi comparata del manoscritto e dello stampato fa poi emergere una lunga opera di correzione e di revisione, non sempre riconducibile al Borromeo, e inoltre affiorano alcune differenze tra i due lavori, che però non sembrano particolarmente rilevanti ai fini interpretativi.
Al termine della presentazione il curatore riporta sia l’edizione a stampa, con relativa traduzione, sia il manoscritto volgare. L’edizione è completata da utilissimi indici: uno degli autori e delle opere citate nel testo, un altro «dei nomi di persona, di luoghi e di popoli» e un terzo «delle cose notabili». Giorgio Dell’Oro


Segnalazione di Luciano Nanni, in Literary nr.12/2008

Saggistica. In ecdotica si parte dalla riproduzione in fotocopia (ms.) e anastatica (stampa) fino alla trascrizione nel linguaggio corrente: qui si è seguita una prassi piuttosto rigorosa, salvo alcune deroghe elencate nella nota critica (pp. 27-30). L’opera del cardinal Borromeo vide la luce nel 1624. Il volume curato da F. di Ciaccia comprende: a) il ms. in volgare che si suppone anteriore alla stampa; b) l’edizione in latino; c) la traduzione dal latino del curatore. Opera di notevole interesse (il Borromeo scrisse un centinaio di lavori a carattere religioso) in cui la superstizione non riesce del tutto a separarsi dai fenomeni naturali e dalla stessa religione, creando perfino delle commistioni (Del aere. Capo 13): difficile oggi pensare che taluni luoghi, come le miniere (fodine), siano infestata da demoni. L’autore però, a proposito delle possessioni diaboliche, comprende che accadono ‘assai volte senza colpa dell’ossesso’ (Degl’energumeni. Capo 20). [Luciano Nanni]








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